Ancora oggi a questo sontuoso palazzo sono legati i ricordi di tanti ragusani, perché per diverso tempo fu sede di due circoli cittadini, di una rinomata caffetteria e in ultimo di una libreria, prima di cadere nell’oblio per decenni. Il forte interessamento per il recupero dell’intera struttura ha fatto partire una doverosa ristrutturazione che ha focalizzato l’attenzione su tutte le strutture murarie, sulla finissima pavimentazione in pietra pece e su tutte le volte del piano nobile, quest’ultimo tra i più raffinati del centro storico di Ragusa superiore. Un lavoro certosino, conclusosi nell’anno 2009, che ha finalmente aperto le porte alla storia, all’arte, alla bellezza e che ha anche portato recentemente Palazzo Garofalo a divenire il “Polo Culturale di Palazzo Garofalo”, perché oltre a ospitare il museo, possiede altresì un vasto piano terra costituito da un piccolo auditorium per conferenze e importanti seminari, da vaste sale espositive per mostre di arte contemporanea e a breve anche da una ben nutrita biblioteca. Un vero e proprio fiore all’occhiello nel cuore del centro storico di Ragusa superiore e un punto di riferimento per i più importanti appuntamenti culturali cittadini.
Il museo è stato allestito nel piano nobile del palazzo, accessibile mediante un elegante scalone contraddistinto dalla pietra pece, seguendo un percorso di otto sale che ricopre circa 400 mq di superficie. L’itinerario inizia dal periodo pre−terremoto fino ad arrivare all’istituzione della diocesi di Ragusa avvenuta nel 1950, ma soffermando anche l’attenzione verso l’antichissimo culto del patrono san Giovanni e verso altre rarità custodite gelosamente dalla parrocchia nel corso dei secoli. Un’ultima sezione è infine riservata alla mostra “Sicilia Antiqua”, caratterizzata da antiche stampe e incisioni di inestimabile valore, databili tra il 1500 e il 1800 e di proprietà della Fondazione Cesare e Doris Zipelli.
Prima sala: Ospita pezzi di pregevole bellezza in gran parte antecedenti al terremoto del 1693; dal reliquiario a cassetta di San Giorgio in avorio e legno intarsiato, superlativa fattura del XV secolo proveniente dalla bottega veneziana di Baldassarre Degli Embriachi, al piatto in rame dorato lavorato a sbalzo, di fattura tedesca del XV secolo raffigurante “Adamo ed Eva e l’albero della vita”, proveniente dalla chiesa di Santa Maria delle Scale; dalle due borse di corporale del XVI e XVII secolo in seta e ricamate in oro e corallo, a un graduale romano del 1580. E poi ancora un salterio del 1708, pissidi in argento del XIV e XVI secolo, un’antica Bibbia del 1616 stampata a Venezia, un prezioso ostensorio a raggiera tempestato di coralli del XVII secolo e tanto altro.
Seconda sala: Entrando, non potrai non notare alla tua destra l’imponenza del pulpito, superbamente intagliato in noce nazionale sul finire del Settecento, che era in origine collocato sull’ultima arcata di sinistra della navata centrale della cattedrale, per consentire in passato ai sacerdoti di svolgere le proprie omelie e di rivolgersi in modo più immediato ai fedeli. Dato il suo costante inutilizzo dovuto principalmente per motivi di precarietà strutturale, ma anche in seguito alla riforma liturgica del Concilio Vaticano II e ai moderni sistemi di amplificazione apportati negli anni ’50, venne successivamente smontato, sottoposto ad accurato restauro e qui recentemente rimontato. Da rimarcare anche gli estesi stendardi ottocenteschi, disposti sulla parete sinistra, in rappresentanza di due influenti confraternite presenti in passato in cattedrale. Quello di colore azzurro apparteneva alla confraternita dell’Immacolata, come si può evincere non solo dal colore tipicamente mariano ma anche dall’immagine della Vergine Immacolata riportata all’interno del clipeo, mentre invece quello rosso apparteneva alla confraternita del Cristo alla colonna e sul quale sono chiaramente riportati i simboli della Passione del Signore. All’interno delle vetrine si conservano alcuni preziosi oggetti in argento e oro, appartenenti alla statua di San Giovanni, custodita in cattedrale, sulla quale vengono collocati durante i festeggiamenti di agosto. Si noti in particolare il pregevole agnello adagiato sul libro dei sette sigilli, ex voto realizzato sul finire dell’Ottocento, il bastone a canne incrociate e l’elaborata aureola. Lo stesso soggetto iconografico dell’agnello si ritrova pure sul fermaglio di piviale e sullo sportello di tabernacolo di un antico altare laterale della chiesa. Non passa inosservato il braccio reliquiario del 1664 che contiene appunto una reliquia del santo, montato in origine sulla cuspide dell’arca santa e l’antica pianeta in seta rossa ricamata in argento del XVIII secolo, utilizzata in passato in occasione di tutte le solennità di San Giovanni Battista. Nelle vetrine successive risalta un artistico putto genuflesso, realizzato nella seconda metà del Novecento, anch’esso ex voto sistemato fino a un decennio fa sul fercolo della statua e le collane in oro, contenenti reliquie di santi, che affiancano il candido calco in gesso del volto di San Giovanni, vero e proprio studio preparatorio realizzato dal ragusano Carmelo Licitra, per la venerata statua che terminò e consegnò nel 1861. Il calco è stato donato dai discendenti dell’artista alla cattedrale nell’anno 2013.
Terza stanza: La cosa che d’impatto risalta agli occhi è l’arca santa o cassa reliquiaria di San Giovanni, una delle più belle testimonianze dell’argenteria siciliana, realizzata nel 1731 dai messinesi Pietro Paparcuri e Gaspare Garufi. Nei giorni 27−28−29 agosto viene portata in solenne processione per le vie cittadine insieme alla statua del patrono San Giovanni Battista perché contiene una reliquia del santo, ossia un dente incastonato all’interno della bocca dell’artistica ed espressiva testa, collocata dentro un magistrale piatto in argento e rame dorato, lavorato a sbalzo, entrambi magnificamente plasmati dalle mani di Paolo e Cesare Aversa nel 1641. Il tutto trova collocazione sulla parte anteriore della cassa, mentre sulla parte posteriore un bellissimo busto raffigurante la Maddalena, realizzato nella metà del Seicento da argentieri siciliani, custodisce invece una reliquia della santa.
I lati lunghi sono divisi in tre scomparti da doppie colonne, consentendo ai riquadri centrali di riportare le scene della Natività e del Martirio di San Giovanni, mentre nei riquadri laterali sono collocate teche contenenti altre reliquie di santi e frammenti della croce del Salvatore, su un fondo in velluto rosso. Il coperchio, a lamine concave, termina con una cuspide in cui risalta un pregevole Battesimo del Signore, opera del 1838 di Antonino Paolino, che sostituì il braccio reliquiario, di cui poc’anzi si parlava. All’interno delle vetrine si conservano invece i quattro evangelisti, in legno policromo, che affiancano l’arca santa sul fercolo che, nei giorni di festa, viene condotto per le vie della città insieme alla statua. All’interno di altre due teche sono custoditi preziosi ex voto in oro e argento come bracciali, orecchini, collane, monili, anelli con diamanti, che testimoniano il profondo legame dei cittadini ragusani verso il loro santo patrono.
Quarta stanza: Contiene le quattordici stazioni della Via Crucis, collocate in origine all’interno della cattedrale e dipinte a olio su tela nel 1775 dal modesto pittore siciliano Stefano Ragazzi, che interpretò con la propria sensibilità e un acceso cromatismo il tema della Passione del Signore.
Al centro della sala è disposto un imponente pannello cuspidato, proveniente dalla vicina chiesa di San Vito e magistralmente dipinto su entrambi i lati da un ignoto pittore. Da una parte si riconosce la scena del Roveto ardente, circoscritta sulla sola parte centrale, tratta dal libro dell’Esodo (Es 3,5), in cui un angelo del Signore apparso da una lingua di fuoco, intima a Mosè, che sta facendo pascolare il gregge di Jethro sul monte Horeb, di togliersi i sandali perché la terra che sta calpestando è una terra santa. Al di fuori della narrazione, quasi a fungere da cornice, un elegante motivo decorativo completa il tutto con fiori e getti d’acqua sgorganti alle due estremità e direzionati scenograficamente da due putti. Inoltre, al di sotto dell’iscrizione è riportata la data di esecuzione del 1771. Sull’altro lato invece vi è la raffigurazione dell’apostolo Paolo nell’atto di redigere la prima lettera ai Corinzi, con accanto il suo principale attributo iconografico: la spada. I suoi occhi sono rivolti verso la colomba, emblema dello Spirito Santo, che sta sopraggiungendo dall’alto per infondergli l’ispirazione. Un brano di pittura, quest’ultimo, parimenti circoscrivibile alla fine del Settecento, qualitativamente molto elevato per via del calibrato cromatismo e dell’utilizzo della materia pittorica che sembra quasi liquefatta. Merita una particolare menzione il repositorio (dal latino repositorium: luogo dove si ripone qualcosa), opera d’alta ebanisteria scolpita e indorata nel 1793 che venne utilizzata in cattedrale sino agli anni Cinquanta per riporre l’Eucarestia, al termine della messa del Giovedì Santo fino al pomeriggio del Venerdì Santo, giorno in cui avviene la morte del Signore. Sono infatti presenti i simboli della Passione (scala, lancia, croce, corona di spine), così come la prefigurazione della Trinità con la presenza dell’occhio di Dio all’interno del triangolo, iconografia quest’ultima molto ricorrente nell’arte cristiana.
Quinta sala: Ospita essenzialmente oggetti a sfondo liturgico, come alcuni preziosi calici settecenteschi di fattura siciliana in argento e oro, più o meno elaborati secondo il gusto dell’epoca e della committenza, tra cui ne risalta uno realizzato nel 1954 dallo scultore ragusano Arturo Di Natale e donato dal clero ragusano al primo vescovo Ettore Baranzini. Di rilevante interesse anche l’ostensorio a raggiera in argento realizzato dallo stesso scultore nel 1961, il reliquiario a ostensorio in argento datato 1906 ad opera dei fratelli Bertarelli di Milano e argenteria varia, tra cui un campanello d’altare, una teca eucaristica, pissidi e tanto altro. Il mirabile piviale realizzato nel 1760 in pregiata seta, ricamata in oro e argento dalle sapienti mani di suor Celestina Scribano, proviene dalla vicina chiesa di Santa Maria delle Scale ed è stato restaurato nel 2018.
Sesta sala: Pur essendo di dimensioni molto ristrette e nonostante si trovi quasi al termine dell’interessante percorso, risulta tuttavia molto raccolta per ospitare altri pezzi eccellenti di argenteria e oro, come il reliquiario a ostensorio del “Cuore di Maria”, realizzato nel 1897 dal ragusano Salvatore Aurea, due corone di statua ottocentesche di produzione siciliana, la preziosa corona in oro sbalzato e vetri colorati, appartenente alla statua della Madonna della Medaglia, realizzata a Milano dai fratelli Bertarelli nel 1912. Nella vetrina seguente sono invece presenti oggetti sacri realizzati in seguito all’erezione della diocesi di Ragusa il 6 maggio 1950, tra cui il primo superbo ostensorio in argento, oro e gemme, disegnato ancora da Arturo Di Natale in occasione del Primo Congresso Eucaristico Diocesano tenutosi nel 1961 e il primo pastorale diocesano in argento, smalti e gemme, realizzato da Duilio Cambellotti nel 1955. Inoltre spiccano preziosi anelli episcopali come quello donato da papa Paolo VI al termine del Concilio Vaticano II a tutti i vescovi pervenuti all’evento, tra cui l’allora vescovo di Caltagirone mons. Carmelo Canzonieri, già parroco della cattedrale di San Giovanni. A questo fasto si aggiungono altri preziosismi come croci pettorali, una delle quali appartenuta al secondo vescovo di Ragusa mons. Francesco Pennisi e una mitra ottocentesca in seta e oro ricamata da maestranze siciliane.
Settima e ottava sala: Qui si conserva un corpus cartografico di inestimabile valore, ritenuto una vera e propria miniera di informazioni per ciò che concerne sia la storia delle città, dei borghi e dei paesi della Sicilia, suddivisa in tre distinte valli (Demone, Mazara, Noto), sia la sua evoluzione politico−sociale. Tutto questo nel periodo compreso tra il 1500 e il 1800.
Il suddetto ingente patrimonio è frutto dell’amore e della passione per l’arte del collezionismo del compianto ing. Cesare Zipelli, messinese di origine ma ragusano d’adozione e noto manager imprenditoriale, che ha ricoperto anche diversi ruoli importanti in vari ambiti.
Mente colta e illuminata, grande raccoglitore di opere d’arte, tra l’altro insieme alla moglie Doris, ha lasciato tutto nelle mani della Banca Agricola Popolare di Ragusa, perché lo custodisse gelosamente e ne garantisse la pubblica fruizione. Ecco spiegato il motivo per cui il noto gruppo bancario, a un anno dalla sua scomparsa avvenuta nel 2010, ha deciso non soltanto di costituire la Fondazione Cesare e Doris Zipelli, ma di tenere esposte queste altre straordinarie preziosità all’interno del museo a partire dal 2013, in comune accordo con la cattedrale, a perenne memoria della sua gigantesca figura.
Oltre alle numerose e antiche mappe cartografiche raffiguranti l’Italia e la Sicilia, vi sono molte incisioni a tema vedutistico del Val di Noto e in particolare dei siti archeologici di Cava d’Ispica, Kaukana, Kamarina, realizzate da nomi eccellenti come Houel e Saint−Non, in seguito al Grand Tour che viaggiatori, letterati come Goethe e archeologi di fama internazionale effettuarono dal 1700 in poi, in particolare in questo lembo di Sicilia.
Infine degno di menzione è l’Atlante di Giovanni Montecaliero, ovvero un prezioso manuale, datato 1712, che raccoglie informazioni utili sulla vita delle Province Religiose dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, anticipando così la cartografia tematica o statistica dei secoli successivi.
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